Quel giorno in serra, tra foglie sporche e speranze velate
Era una mattina di primavera quando entrai nella mia vecchia serra di legno. Fuori, il profumo delle fragole stava ancora vociferando l’arrivo dell’estate. Dentro, invece, c’era un’aria sospesa. Il pomodoro, che avevo piantato con cura pochi mesi prima, mostrava segni diversi da quelli che mi aspettavo. Le foglie, un tempo lucide di verde, erano ormai rilucenti di nero, come se qualcuno avesse appoggiato loro dei piccoli pezzi di carbone. Le mie mani, che fino a quel momento avevano presunto fosse un attacco fungino appena accennato, si misero a tremare. Dentro di me capii che era arrivata la Cladosporiosi, nota anche come la “fuliggine” del pomodoro.
Non era un’aggressione improvvisa, ma un nemico silenzioso che cresce in condizioni di alta umidità, tipiche delle coltivazioni in serra. Quel giorno capii che non bastava più affidarsi alla forza del terreno o alla mia esperienza di passato per combattere qualcosa che, invisibile, stava lentamente soffocando le mie piante. Iniziò così una delle più delicate battaglie della mia vita agricola.

Capire la cladosporiosi: un fungo che si nutre di volte troppo chiuse
In ogni serra ben curata si crea un microclima. Un equilibrio di umidità e calore che rende facile coltivare pomodori persino quando fuori il cielo è grigio da mesi.
Ma proprio in quell’ambiente si nasconde il terreno ideale per la cladosporiosi. Un fungo che ama le condizioni di alta umidità e scarsa ventilazione. Ama stare sotto le foglie, tra i rami affollati, sulle superfici delle piante ormai sudaticce. E non attacca la pianta come un fungo classico che la invade dall’interno, ma si deposita sulla superfice, trasformando le foglie in lastre di fuliggine.
Le prime foglie che vengono colpite mostrano piccole macchie brune, che poi si allargano, diventano scure, si uniscono l’una nell’altra in un disegno nero impenetrabile. All’inizio uno crede sia un segno di sporco, perfino di fuliggine vera, perché somiglia proprio a una polvere smogosa. Il problema arriva quando queste macchie impediscono alla foglia di respirare, di fare fotosintesi, di nutrire il frutto sottostante. Il danno diventa visibile non solo nella chioma, ma anche nei pomodori stessi che fanno fatica a crescere, che presentano crepe, che spaccano o restano piccoli, pallidi.
Perché si manifesta in serra: l’equilibrio tra calore, vapore e legno
Negli anni ho capito che la serra è una compagna generosa, ma traditrice. Se da un lato protegge dal freddo e dai venti, dall’altro rischia di imbottigliare l’acqua che evapora dalla terra e dalla pianta. Quando l’umidità relativa supera il 80 per cento e le foglie restano bagnate a lungo, la cladosporiosi trova la sua casa perfetta. Non serve molta pioggia. A volte basta la nebbia notturna mischiata al caldo del giorno successivo.
Io avevo costruito la mia serra con legno e teli rigidi, senza forzera d’aria. Scusami se suona ingenuo, ma avevo pensato che serrarla significasse difenderla. Invece avevo creato una coperta troppo stretta. Ed è lì che la fuliggine si sentì libera di crescere veloce, quasi con rabbia. La serra doveva diventare più viva. Doveva essere respirata. Doveva cambiare.

Come ho imparato a ventilare: aria come cura quotidiana
Il primo passo per tornare in equilibrio fu imparare a respirare. Una doppia porta, aperture laterali, finestre regolabili: l’ho fatto per dare aria, per lasciar uscire il vapore, per spazzare via la fuliggine.
E poi ho migliorato l’irrigazione, evitando i getti diretti sulle foglie: l’acqua va alla base, non al tepore della serra.
Anche la gestione del sole è cambiata: ho iniziato a regolarmi nel creare ombra nel cuore della giornata, a piedi nudi, controllando che i teli non cuocessero le piante. Ho imparato che ogni pianta, in quel microclima, chiede un respiro. Una finestra aperta, un filo d’aria.
Le foglie continuavano a mostrare tracce nere, ma non avanzavano da sole: ho smesso di asfaltarle con polveri tossiche e ho puntato sulla luce, sulla pulizia, sui lanci di aria verso le chiome.
Le strategie senza chimica: rinforzare le difese dall’interno
Nel tempo compresi che la cladosporiosi non si combatte solo con l’aria. Serve anche una pianta forte. Così cambiai le concimazioni, puntando su fertilizzanti organici, letame maturo, compost fatto in casa. Diedi spazio ai microrganismi del suolo, non compressi da nitrati industriali.
Le foglie che restavano sporche le lavavo con acqua e sapone neutro, ogni volta che il sole era più mite. Non serviva tanto: un velo leggero, basta. Il fungo, così, non trovava una base stabile su cui crescere. Ma serve costanza.
Ho spruzzato anche il mio decotto di equiseto, quella pianta semplice e forte, che insegna alla pianta a difendersi da sola. Non era una medicina, ma un insegnamento. Un incoraggiamento a resistere all’attacco esterno.

Esperienze dal campo: quando la fuliggine ride ed io rispondo con pazienza
Ricordo un pomeriggio di fine estate, con la serra piena di ombre, foglie scure e pomodori lasciati marcire. Mi sembrava di aver perso la battaglia.
Ma invece scelsi di rallentare. Di intervenire con calma. Di cambiare musica.
Aprii porte e finestre, regolai il clima. Compresi che alla pianta serve respirare per crescere. Presi il rastrello, pulii terra e foglie cadute, eliminai quelle macchiate. Poi attesi. Non successe nulla nell’immediato. Ma la seconda settimana vidi qualcosa di diverso: foglie nuove, pulite, grandi, lucide.
Tornò il verde. I pomodori ripresero a crescere. Forse non ebbi un raccolto perfetto, ma riscoprii qualcosa che è più importante. Il silenzio, la resilienza. La consapevolezza che ogni battaglia agricola non si vince con la fretta, ma con l’attenzione.
La rotazione colturale: il segreto silenzioso contro il ritorno della cladosporiosi
Uno degli errori più comuni che vedo fare, soprattutto in chi coltiva in serra, è quello di piantare sempre pomodori nello stesso punto, anno dopo anno. È facile farsi prendere dalla comodità: conosci il terreno, sai dove cresce meglio, ti sembra inutile cambiare. Ma la cladosporiosi, come molti altri problemi, ama le abitudini. Si nutre della monotonia colturale. E così, più il suolo viene occupato dallo stesso ospite, più i suoi nemici si fortificano.
Nel mio orto, invece, ruoto tutto. I pomodori li faccio seguire da leguminose leggere o da insalate, oppure lascio il terreno riposare con una copertura di sovescio. Così il suolo si rinnova, e i patogeni si disorientano. Non trovano più la pianta su cui appoggiarsi e pian piano si indeboliscono. È un’azione lenta, invisibile, ma potentissima.
Anche dentro la serra applico lo stesso principio. Divido lo spazio, alterno le colture, lascio una porzione “di respiro” dove non coltivo nulla, ma lascio crescere trifoglio o senape, che poi interro. Non serve sempre produrre. A volte, per difendere la produzione futura, bisogna non produrre per un po’. È una lezione che la terra ti insegna col tempo.

La varietà fa la forza: scegliere i pomodori giusti per resistere meglio
Un altro passaggio che ho compreso a mie spese riguarda la scelta delle varietà. Non tutti i pomodori sono uguali.
Alcuni, soprattutto i vecchi ibridi da serra, sono più sensibili alla cladosporiosi. Hanno una pelle sottile, una struttura foliare fitta, e faticano a reggere gli attacchi. Altri, invece, hanno imparato a convivere con certe pressioni ambientali. Hanno foglie più aperte, strutture che facilitano la ventilazione, e perfino una pelle più robusta.
Negli ultimi anni mi sono orientato su varietà locali, antiche, magari un po’ meno produttive ma molto più resistenti. Il pomodoro cuore di bue, ad esempio, quando viene da seme rustico, regge meglio il caldo e le malattie. Il pomodoro datterino, soprattutto quello piccolo e dolce, mostra più tenacia. Ho perfino ripreso varietà dimenticate che mio nonno coltivava, e che oggi tornano a splendere nella serra.
Scegliere la varietà giusta non è solo questione di gusto. È una forma di prevenzione. È decidere, già all’inizio, quanto vuoi combattere più avanti. Io preferisco coltivare piante che si sanno difendere da sole, piuttosto che dover essere io a difenderle ogni giorno.
Il valore della comunità contadina: raccontarsi per migliorarsi
Una delle cose che ho imparato affrontando la cladosporiosi è che non bisogna mai restare soli. Quando vedi le foglie annerirsi, la tentazione è quella di chiuderti, di non dire nulla, di combattere in silenzio. Ma la verità è che condividere le difficoltà aiuta a superarle.
Nel mio paese ci incontriamo spesso tra agricoltori. Parliamo dei nostri pomodori, dei parassiti, delle semine e dei raccolti. Quando ho visto la fuliggine per la prima volta, fu proprio un altro contadino a darmi il consiglio più utile: “Aria. Non cercare soluzioni pronte. Apri. Respira. Lascia che la serra viva.”
Da allora non ho più tenuto per me i miei problemi. Li racconto, come sto facendo ora, perché credo che ogni esperienza possa diventare un insegnamento. E anche una delusione può trasformarsi in un nuovo modo di fare agricoltura, più consapevole, più naturale, più umano.
Se oggi riesco a tenere sotto controllo la cladosporiosi senza chimica, lo devo anche a chi ha condiviso con me errori, successi e soluzioni. È questo il senso di coltivare: non solo far crescere piante, ma fare crescere relazioni.

Racconti di rinascita: quando il pomodoro torna a brillare
L’ultima estate, dopo tanti tentativi, ho avuto il mio raccolto migliore. I pomodori erano rossi, tondi, sani. La serra profumava di terra e foglie giovani.
Nessuna fuliggine, nessun segno nero. Solo luce.
Non fu un caso. Avevo aperto la serra ogni giorno, anche quando fuori pioveva. Avevo cambiato varietà, rinunciando a quelle che un tempo amavo. Avevo seminato diversamente, nutrito il suolo con più rispetto, lavorato con pazienza. E alla fine, l’equilibrio era tornato.
Non posso dire che la cladosporiosi sia scomparsa per sempre. So che potrebbe tornare, se dimentico anche solo uno dei tanti dettagli che oggi fanno la differenza. Ma ora ho gli strumenti per rispondere. Ho l’esperienza, la rete, la calma.
E ho imparato che ogni pianta può rinascere, se trova intorno a sé il clima giusto. Non solo quello dell’aria, ma quello del cuore di chi la coltiva.
FAQ – Le domande che mi fanno quando parlo di cladosporiosi
È normale vedere quella polvere nera sulla pianta?
Sì, ma non è normale resistere a guardarla. La cladosporiosi si deposita lentamente, come un velo. Appare dapprima sulle foglie inferiori, dove l’umidità resta più a lungo. Ma se la guardi, se la pulisci, se di giorno lasci respirare la pianta, puoi arginare l’esplosione.
Posso curarla solo ventilando la serra?
La ventilazione è fondamentale, ma non basta. Serve anche rinforzare la pianta dall’interno. Con concimi organici, con acqua posata al piede, non sulla foglia, con prodotti naturali come l’equiseto. Serve che la pianta abbia forze per ribellarsi.
Mi hanno consigliato fungicidi: perché non usarli subito?
Perché speso coprono il problema, non lo risolvono. E in serra non servono se la ventilazione è buona e la pianta è sana. I fungicidi chimici più che combattere colpiscono l’equilibrio. E senza equilibrio, anche il fungo più piccolo può tornare.
Negli anni successivi la cladosporiosi può tornare?
Può, se torni alle vecchie abitudini. Se la serra resta chiusa, se irrigatori bagnano le chiome, se la pianta resta accalcata. Ma se continui a curare il microclima e rinforzi la pianta, la fuliggine resterà sul bordo, non proporrà un attacco dall’interno.
Posso coltivare pomodori in serra senza mai usare prodotti?
Sì, lo faccio da anni. Ma serve la costanza. Serve serra areata, terra ben nutrita, pacciamature, semine distanziate, rotazioni. Serve osservare ogni giorno. L’agricoltura biologica è una relazione, non un copione rigido.
Quando è il momento giusto per raccogliere i pomodori infetti?
Subito. Se un pomodoro mostra macchie o segni, raccoglilo, elimina qualsiasi foglia collegata, pulisci la pianta. La fuliggine non guarisce da sola. Ma si arresta nella nuova pianta, senza guarire. Devi agire quando vedi, non quando speri.